Tyler Hurst è un esperto di Social Media che parla umano e che ho scoperto solo recentemente.
Ha un interessantissimo Blog e un account Twitter in cui sono curati i minimi particolari, anche il design.
Traduco un suo Post molto efficace dal titolo “Dear brands: get off my social networks”, che critica l’atteggiamento tipico dei Brand su Facebook e gli altri social media.
Cari Brand: fuori dai miei Social Network!
Capisco il bisogno di fare pubblicità. Capisco che le aziende vogliono che io compri le loro cose. Quello che non capisco è perché pensano che io sia stupido.
Cari Brand, le vostre Pagine su Facebook sono stupide. È solo pubblicità mascherata e questa cosa la odio. Mi piace la Coca Cola Diet, ma non ho bisogno di essere un Fan per farlo. Non voglio giocare ai vostri stupidi giochi. Non voglio condividere le vostre applicazioni con i miei amici.
Voglio parlare con le vostre persone. Esatto, i vostri dipendenti. Voglio connettermi con loro. Voglio condividere cose con loro e voglio che loro le condividano con me. Voglio essere parte dell’esperienza umana.
Le vostre Pagine Facebook non mi danno niente, cari grandi Brand. NIENTE. Se non parlate con me è solo un altro spazio pubblicitario. Capisco subito quando i vostri aggiornamenti di stato sono approvati dai vostri avvocati. Me ne fotto di queste cose.
Diavolo: arruolate la vostra benedetta segretaria e lasciate parlare lei al posto vostro. Farebbe sicuramente un lavoro migliore.
All’inizio faticavo a capire come mai le aziende ancora non abbiano capito la reale portata del web, ma dopo solo pochi mesi di lavoro sono arrivato a una –alemno una– verità: le aziende hanno una fifa marcia di impegnarsi in qualcosa che non rientra nel loro stramaledetto ROI… dannazione!
PS
… e tuttavia continuano a pagare lo stesso la segretaria, che comunque continua a “perdere” tempo sui social network anzichè “investirlo” per fare il bene dell’azienda.
(da notare su Mashable “women rule the social web”: il link al mio articolo in riferimento http://energio.wordpress.com/2009/10/05/drag-to-share/ )
Grazie dei link, mi ero perso la statistica di Mashable!
Molte aziende (e persone) ora vedono il ROI nel SMM…
bellissimo. bisognerebbe pubblicarla sul Sole 24 ore però. Che mi sa che su blog et similia, i cari brand ci vanno poco.
In effetti presupporre sempre un utente cretino sta diventando una moda diffusa e abbastanza offensiva. Anche per i cretini, che alla lunga si annoiano.
ciao
francesca sanzo
aka
panzallaria
Dalla cena dei cretini al Blog dei cretini
🙂
tutto giusto. e come tutti gli strumenti, si possono usare bene o usare male, in modo intelligente o stupido. Oggi ho visto una compagnia che mi sembra attiva socialmente nel modo giusto, ecco il suo account twitter http://twitter.com/discoverRB ed è anche su LinkedIn e FB con notizie utili e spunti divertenti.
Resto ottimista sul fatto che si possa educare i brand a lavorare con noi, eticamente e bene, e mi piacerebbe sapere cosa ne pensi di questa visione
http://www.online-marketing.it/social-marketing/2009/idee-per-uninnovazione-open-source/#comments
Come la mettiamo però con i milioni di fan di Nutella e McDonald’s che sono felici solo per il fatto di aver dichiarato al mondo di essere fan di questi prodotti? Io vedo una componente di gratificazione sociale in comportamenti all’apparenza stupidi e inutili.
Grazie per i link Flavia.
E anche per il tuo articolo che commenterò (scrivi in maniera meravigliosa)!
Giuseppe: ottima osservazione, che poi è il discorso “Fansumer”.
Io penso che per alcuni Brand non ci sia bisogno di “connettersi” ulteriormente…
Uno è Fan di Nutella perché è una cosa universalmente spettacolare e tagga il suo profilo in questo senso: per darsi un’identità. La nutella non mi sembra cerchi di connettersi altrimenti…
Lato MCDonald abbiamo oltre un milione di Fan ma pochissima conversazione in bacheca. Mi chiedo invece se funzionino quelle applicazioni flash nelle altre tab…
Che le aziende facciano parlare dipendenti non addetti alle PR è pura utopia e non avrebbe alcun senso… direbbero sicuramente cose potenzialmente dannose e diversamente interpretabili, specie se parliamo di multinazionali quotate in borsa, dove ogni parola dei loro comunicati stampa è ben pesata; non stanno giocando, non possono certo pensare di far parlare i dipendenti magari neanche ben predisposti verso chi li paga… E il solo pensarlo denota di NON conoscere come si muovono le aziende in genere.
ciao, Matteo
La tua osservazione è corretta: le MULTINAZIONALI QUOTATE IN BORSA non possono non controllare quanto detto in rete dai loro dipendenti in merito a CERTE questioni.
E infatti quelle intelligenti (come la mia) distribuiscono una policy interna da seguire in questi casi.
Forse il punto provocatorio di Tyler è: fate fare i PR ai dipendenti e non agli addetti PR: a gente che parla la stessa lingua dei clienti.
In ogni caso, per aziende le più piccole la partecipazione dei dipendenti è fattibilissima…
Ma non capisco cosa ce ne possa fregare di cosa dice o pensa una segretaria di una società famosa o non: è lavoro, mica sta lì a divertirsi, e che lavori per coca cola o per pinco pallo, cosa vuoi che decida? Mica incarna il prodotto… Vi interessano queste cose? Allora cercate i protagonisti, attori, cantanti o altro del genere e fatevi raccontare da loro, non gente che lavora per aziende che producono bibite, case o computers: lo fanno e basta, cose volete che dicano, com’è bello andare tutti i gg in ufficio con capi stressati e rompimaroni???
Concordo! E poi scusate, chi ha il cervello talmente in pappa da sprecare il proprio tempo libero interloquendo con il personale di una ditta invece che con i propri amici e conoscenti? Chi se ne frega di interagire con questa gente?
E invece i PR incarnano SEMPRE il prodotto??????
Ad ogni modo esistono anche dipendenti entusiasti, che amano il loro lavoro e che ne parlano bene
Se una società vuole aderire a politiche di trasparenza nella logica prodotto, allora deve essere disposta a farlo anche lato dipendenti. Il web 2.0 è conversazione dal basso, fa parlare le persone e se una azienda vuole usarlo veramente deve essere disposta a mettersi in gioco. E non è usando le pratiche tradizionali del marketing che un'azienda si mette in gioco. La mandarina duck aveva uno splendido blog dove si parlava del prodotto partendo dalla percezione degli eventi aziendali che aveva la dipendente che lo gestiva (la quale usava un linguaggio informale e empatico).
Credo che l'articolo di questo post sia principalmente provocatorio, ma è pur vero che chi si occupa di digital p.r deve prima di tutto mettersi nei panni dell'utente e non considerarlo target ma persona. E – provocatoriamente – l'autore dice: chi meglio potrebbe farlo di un dipendente???
Se si vuole stare nel gioco, bisogna giocare con le carte di quel gioco.
Ma non è un gioco… c’è di mezzo l’immagine del brand e dell’azienda, oltre all’altissimo rischio di ripercussioni negative (sperimentato in prima persona quando avevamo un forum sul sito, mi riferisco alla mia esperienza con France Tèlècom in Italia nel 2005); usano certe forme del 2.0 ma in maniera limitata, suvvia… che poi esistano casi fortuiti ok, ma non si può pensare di lasciar parlare indiscriminatamente i dipendenti, che comunque non sono il CEO o l’AD e hanno una visione parziale di quanto accade in azienda e ben pochi ne conoscono le strategie di medio e lungo; e poi non dimentichiamoci che il brand di per sè è un concetto astratto: cocacola è una bibita, hanno costruito attorno un mondo ma è solo un liquido nerastro… nutella è una crema di cioccolata marroncina, tutto qui… ciao!
dimenticavo…sorry… il link giusto adesso è al nostro Talking Village 🙂 venitemi a trovare.
beh…Matteo incarna perfettamente le paure delle aziende di cui si parla qui 🙂
http://socialmediatoday.com/SMC/126750
le capisco tutte, ma sono superabili. e i vantaggi poi superano di gran lunga i rischi, come molti casi di successo hanno già dimostrato. I valori dei brand, quel mondo di vissuto emotivo che trasforma un liquido scuro in un mondo di esperienze, è fatto di persone e deve parlare il loro linguaggio al passo con i tempi, non quello delle strategie aziendali. Le strategie servono a garantire il profitto di cui si risponde agli azionisti e certo non sono oggetto di discussioni in piazza, ma i brand ce
he servono a quelle strategie, quelli sono parte della vita delle persone e di questo si sta prendendo atto.
Non riesco davvero capire… ma quale dei dipendenti dovrebbe parlare? Una segretaria? Un tecnico dell’IT? Un eesponsaìbile amministrativo? E che ne sanno loro di brand, marketing e comunicazione? Cosa potrebbero raccontarci, a proposito di una brand image creata a tavolino, molto probabilmente da agenzie esterne? Per ora qui si sta solo teorizzano, ma alla fine, quali domane e a chi? E con quale possibilità di avere risposte utili? Spiegatemi vi prego…